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Purificazione dell’aria negli ambienti di lavoro

Immagine del redattore: Dott. Gianandrea GuidettiDott. Gianandrea Guidetti

Come più volte abbiamo letto, è molto probabile che l’inquinamento possa favorire la diffusione del virus SARS-CoV-2 ovvero il nuovo coronavirus umano, e come in particolare le polveri sottili, principalmente le PM 2.5 ne siano il veicolo. La correlazione è evidente e in parecchi studi scientifici internazionali emergono dati impressionanti e preoccupanti.


Un interessante studio italiano, anche se preliminare, effettuato da ricercatori delle Università di Bologna, Bari e Trieste e appena pubblicato sulla rivista medRxiv, mette in evidenza come in una delle aree più colpite dai decessi e dal contagio, concentrata nella zona industriale della provincia di Bergamo, raccolti i campioni in un periodo di tre settimane tra febbraio e marzo, si sia evidenziato appunto come il virus venga trattenuto dalle polveri sottili, ovvero le particelle presenti nell’aria inquinata, in questo caso le PM10.

Lo studio conferma precisi indizi cinesi che ci sono pervenuti all’inizio della pandemia da ricercatori di quel paese che dimostrarono come le polveri sottili fossero in grado di trasportare microbi sulle lunghe distanze.


Un altro studio recentissimo, pubblicato dalla Harvard University, ha evidenziato come gli scienziati del governo degli Stati Uniti, abbiano stimato che COVID-19 potrebbe uccidere decine di migliaia di americani, infatti molte delle condizioni preesistenti che aumentano il rischio di morte nelle persone con COVID-19 sono le stesse malattie che sono interessate dall'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico.

Qui si è indagato se all'esposizione media a lungo termine alle polveri sottili (PM2,5) fosse associato un aumentato del rischio di morte per COVID-19.

I risultati, non troppo inaspettati, hanno fatto notare che ad un aumento di solo 1 μg / m3 in PM2.5 è associato un incremento dell'8% sul tasso di mortalità COVID-19.

I risultati sono stati statisticamente significativi per ulteriori analisi di approfondimento.

In conclusione possiamo sottolineare che un piccolo aumento dell'esposizione a lungo termine alle PM2.5 porta ad un grande aumento del tasso di mortalità per COVID-19.

Questo ahimè non fa ben sperare per le aree più inquinate della nostra penisola quali la Pianura Padana, in particolare regioni come Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte saranno molto a rischio alla riapertura, con il conseguente ritorno a valori ”normali” dei livelli di inquinamento. In sostanza questi studi sottolineano l'importanza di continuare a far rispettare le normative esistenti sull'inquinamento atmosferico per proteggere la salute umana sia durante che dopo la crisi COVID-19.


Il tutto confermato anche da un altro studio effettuato dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Università della  California in collaborazione con le Università di Pechino e Shanghai, effettuato sulla SARS, che come sappiamo è strettamente imparentata con il nuovo coronavirus, che aveva già dimostrato come il tasso di mortalità dei pazienti che vivevano in aree inquinate fosse circa il doppio rispetto alle altre.


Ulteriori conferme della correlazione tra coronavirus e smog, ci giungono da una ricerca della Martin Luther University di Halle-Wittenberg, Germania, che ha evidenziato come il biossido di azoto, un forte irritante delle vie polmonari prodotto dagli impianti di riscaldamento, dai motori dei veicoli, dalle combustioni industriali sia legato a un tasso di morti più alto nella pandemia.

In questo caso, è stata controllata la distribuzione del biossido di azoto in Europa negli scorsi due mesi, confrontandoli con il numero dei morti in 66 regioni tra Italia, Spagna, Francia e Germania. E’ emerso che su 4.443 morti al 19 marzo, il 78 per cento erano avvenute solo in cinque regioni, concentrate tra nord Italia e Spagna centrale.

Se ce ne fosse ancora bisogno, a conferma di queste teorie anche ricercatori dell’Università di Siena e della Aarhus University (Danimarca) hanno messo in correlazione l’alta letalità del coronavirus registrata nelle zone della Lombardia e Emilia-Romagna con l’inquinamento.

Il risultato è chiaro: una esposizione a lungo termine agli inquinanti aumenta la vulnerabilità, che diventa ancora più grave quando scoppia una epidemia.

Elaborando i dati della Protezione civile si è visto come la letalità registrata in Lombardia ed Emilia Romagna fosse del 12%, mentre nel resto d’Italia fosse circa il 4,5%. In base all’Air quality index europeo, Lombardia ed Emilia Romagna sono proprio le due regioni più inquinate di Italia e tra le peggiori in Europa.

Ecco perchè il nei luoghi di lavoro, proprio ora che andremo incontro alla stagione calda, che vedrà costrette diverse persone in uffici chiusi con aria inquinata che si ricicla (causa utilizzo di pericolosi condizionatori), dovrà prevedere cicli costanti di purificazione dell’aria.
Questo per mantenere una salubrità ambientale e ridurre al minimo la diffusione del pericoloso SARS-CoV-2 anche negli ambienti di lavoro dove torneremo a trascorrere, ci auguriamo, la maggior parte del nostro tempo attivo.

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